Aborto spontaneo…parlarne a fa bene
Forse pochi sanno che la nostra specie, è caratterizzata dal più alto tasso di abortività rispetto alle altre specie animali; il periodo di vita nel quale rischiamo maggiormente di morire è quello che va dal concepimento alle prime dodici settimane di vita embrionale, che corrisponde al primo trimestre di vita. Durante questa periodo si verificano l’80% degli aborti. Anche un embrione apparentemente sano e del quale è stata documentata la vitalità (regolare attività cardiaca) ha una probabilità di morire pari al 5-10% finchè non sarà superata la fatidica 12^ settimana. L’incidenza dell’aborto spontaneo è molto alta. Il periodo più critico è quello tra concepimento e 6^ settimana di amenorrea. Circa il 15-20% delle gravidanze clinicamente evidenti (diagnosticate) esita in aborto ma stime attendibili parlano di valori anche pari al 30% se si considera che molte gravidanze interrotte precocemente vengono scambiate con un semplice ritardo mestruale. La tendenza ad abortire cresce progressivamente con l’aumentare dell’età materna e passa dal 9-12% tipica di una ragazza di età < 20 anni a valori superiori al 50-70% dopo i 45aa. L’attuale sistema paternalistico dell’assistenza alla gravidanza cerca di nascondere il problema per proteggere le future mamme, ma se ne parlassimo? Proviamo a fare due calcoli, gli ultimi dati statistici riportano la percentuale di aborto che varia dal 15 al 30 percento su tutte le gravidanze. Quindi ogni 10 donne 1,5-3 hanno avuto un aborto spontaneo, nella nostra cerchia di amicizie conosciamo almeno una persona che ha perso un bambino. Il silenzio che circonda questo evento fa si che le coppie si sentano isolate, le sole a provare questo dolore, le sole ad averlo subito e le uniche responsabili dell’evento. Spesso medici, ostetriche e gli altri sanitari non danno il giusto spazio alla perdita, vengono dette frasi come “Ci riproverete”, “ Era solo un embrione”, “non c’è battito”, “raschiamo via tutto” lasciando i genitori soli e smarriti. Parlare di aborto, vi farà sentire meno soli e conoscere le sue possibili cause potrebbe portare ad una maggiore attenzione delle donne sui fattori pro abortivi, di conseguenza ridurne l’incidenza. Non è semplice identificarne le cause, a volte non sono neanche note, ma possono essere riconducibili a due grandi gruppi, le cause fetali: difetti morfologici del feto, difetti cromosomici, anomalie di sviluppo. E cause materne: malattie come diabete, disturbi tiroidei, malformazioni uterine, pregressi interventi uterini, infezioni comuni come da Chlamydia, Ureoplasma, Toxoplasma, Citomegalovirus, cause immunologiche e vascolari, fattori ambientali come il tabagismo o l’assunzione di alcool, obesità materna o anoressia e l’eccesso di stress. La maggior parte degli studi (per l’elevata frequenza dell’evento anche in donne perfettamente sane) non considera un singolo aborto spontaneo particolarmente allarmante e suggerisce un iter diagnostico solo dopo 2 o 3 aborti consecutivi. Ma quanto aspettare dopo un aborto per riprovarci? Al momento ci sono due studi contrastanti: l’OMS suggerisce l’attesa di almeno 6 mesi prima di riprovare ad avere una gravidanza, uno studio scozzese realizzato dai ricercatori Università di Aberdeen e pubblicato sul British Medical Journal suggerisce di riprovare ad avere una nuova gravidanza dopo almeno due cicli regolari. Dato che l’aborto ha così tanti fattori causali e che ogni storia è a se, è consigliabile parlarne con chi ha segue la donna e la coppia prima di decidere di intraprendere una nuova gravidanza. Articolo della Dott.ssa Ostetrica Rotatori Giorgia Tel 338-1374250 email: giorgia.rotatori@libero.it]]>
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