La mamma sacrificale: uno stereotipo pericoloso – Intervista alla Psicoterapeuta Elisa d’Elia

In questa intervista profonda e autentica, la psicoterapeuta Elisa D’Elia risponde a sei domande che tante mamme si pongono nel silenzio della quotidianità

  • Elisa d'Elia psicoterapeuta

Essere madre non dovrebbe significare annullarsi come donna, né rinunciare ai propri desideri, limiti, spazi. Eppure, lo stereotipo della madre perfetta, instancabile e sempre presente, è ancora oggi così radicato da farci sentire in colpa anche solo per aver bisogno di silenzio, di pausa, di respiro.
In questa intervista profonda e autentica, la psicoterapeuta Elisa D’Elia risponde a sei domande che tante mamme si pongono nel silenzio della quotidianità: È normale sentirsi svuotate anche se si ama? Come non perdersi nel ruolo di madre? È sbagliato desiderare del tempo per sé?
Le sue parole ci accompagnano in un percorso che smonta lo stereotipo e restituisce dignità alla complessità dell’essere madre: non una figura perfetta, ma una persona viva, consapevole e capace di volersi bene. Anche mentre è madre.

È normale sentirsi stanche e svuotate anche se si ama il proprio figlio?

Direi proprio di sì! L’amore, anche quello per un figlio, non cancella la fatica perché essere genitori
è fisicamente, mentalmente ed emotivamente molto impegnativo. Pensiamo alla privazione di
sonno e a come questo incide profondamente su energia e umore. Al carico mentale costante che
deriva dal dover pensare a tutto: salute, alimentazione, educazione. Essere stanchi non significa
non essere bravi, né vuol dire non amare abbastanza. Questa stanchezza però non può divenire
troppo pesante e duratura né farci sentire disconnesse da noi stesse o dal mondo. È fondamentale ritagliarsi del tempo per sé per ricaricarsi. La possibilità di contare su una rete di sostegno come il partner, i nonni ed i familiari in generale è oro.

Come si fa a non perdersi completamente nel ruolo di madre?

Credo che ogni mamma si sia posta questa domanda almeno una volta nella vita! Non perdersi nel ruolo di mamma significa preservare la propria identità di donna accanto a quella di madre. Nel concreto, significa ricordarsi chi siamo e ciò che amiamo fare; parlare dei propri bisogni e non solo di quelli del proprio figlio. Non lasciare che il ruolo di madre diventi l’unica descrizione di noi stesse; questa è solo una parte di noi e non il tutto. Se a volte sentiamo la necessità di avere un momento senza nostro figlio, non siamo egoiste, semplicemente siamo umane. Occorre guardarsi con gentilezza!

Come aiutare i bambini a gestire le emozioni, se noi per prime facciamo fatica?

Bella domanda! Non serve essere perfette per aiutare i figli nella gestione delle emozioni. È
importante essere autentiche, presenti e disposte a crescere insieme a loro. Alcune volte tutto ciò è molto difficile se non si è state educate a riconoscere e gestire le proprie emozioni. Magari nessuno ci ha insegnato che la rabbia è legittima, che la tristezza si può accogliere e che la frustrazione non è segno di fallimento. E quindi quando arriva un figlio ci si trova in balia di emozioni forti, le nostre e le loro, con la convinzione di non avere gli strumenti giusti. Cosa possiamo fare? Normalizzare tutte le emozioni, sia positive che negative; quando ci sentiamo sopraffatte proviamo a dirlo ad alta voce, in modo semplice ed autentico. Le emozioni vanno nominate, non devono essere represse, ma capite. A tal proposito possiamo creare una breve routine di ascolto emozionale; anche solo per 5 minuti al giorno parliamo con i nostri figli di com’è andata la giornata, raccontiamoci una cosa che ci ha reso felici e una che ci ha fatto arrabbiare. Con i bambini più piccoli si possono utilizzare le faccine (gli smile) o la ruota delle emozioni piuttosto che il solo linguaggio verbale.

Perché sento che mio figlio mi assorbe completamente, anche quando è con altri?

Tale sensazione potrebbe essere segno del legame profondo tra madre e figlio, ma anche del carico emotivo e mentale che questo porta con sé. Anche quando nostro figlio è con qualcun altro, la nostra mente potrebbe non smettere di chiedersi: avrà mangiato? Sarà tranquillo senza di me? E se succede qualcosa? È come se il nostro cervello fosse programmato per monitorare costantemente, anche a distanza! Questo succede per amore, ma anche per responsabilità, per abitudine, per istinto e, a volte, anche per paura! Il cervello resta acceso sulla frequenza genitoriale anche quando potrebbe concedersi un pò; di pausa. È fondamentale ricostruire il confine tra noi e nostro figlio.
Confine che i primi mesi, o anni, di vita del bambino è quasi fuso e questo è normale; ma poi arriva il momento in cui serve, con molto tatto e gentilezza, ricostruire il confine e questo richiede tempo, pazienza e cura verso se stessa. Dobbiamo darci il permesso di esistere senza nostro figlio per piccoli momenti.

È sbagliato avere voglia di silenzio, anche solo per qualche ora?

Il silenzio non è egoismo, è ossigeno! Essere mamme richiede continuamente energie da dedicare e
come ogni persona che dona molto di sé, abbiamo bisogno di ricaricarci e il silenzio è una delle
forme più potenti di ricarica. Voler stare in silenzio per un’ora, senza parlare e senza rispondere alle domande, senza essere continuamente disponibili, non è un rifiuto di chi amiamo, ma è un atto di ascolto verso sé stessi. È umano, è necessario, è sano!

Come si affrontano i momenti in cui non si prova gioia, ma solo fatica?

Tutti i genitori passano prima o poi da quei giorni, o periodi, in cui sentono meno la gioia e più la fatica, il dovere e la resistenza. Anche se amiamo profondamente nostro figlio, anche se a volte ci sentiamo in colpa perché abbiamo tutto e nonostante questo ci lamentiamo, dobbiamo pensare che non provare gioia non significa essere sbagliate. Magari significa che siamo stanche o magari ci sentiamo sole e abbiamo bisogno di fare meno, sentirci più accolte e meno giudicate. La mancanza di gioia alcune volte è segnale di esaurimento: forse abbiamo dato troppo senza ricevere abbastanza, ci siamo dimenticate chi siamo oltre il ruolo di madre, non ci siamo fermate a riposare in silenzio perché nessuno ci ha detto che potevamo farlo. È fondamentale parlare di ciò e chiedere aiuto; cosi si potrebbe scoprire che siamo in tante a sentirci cosi almeno una volta nella vita. Solo che nessuno lo dice a voce alta.

Lo stereotipo culturale della madre sacrificale è piuttosto radicato nella nostra cultura, ancora fortemente patriarcale, che ha storicamente relegato la donna alla sfera domestica e del prendersi cura degli altri. Si basa sull’idea che la “vera madre” è colei che si annulla per i figli, che mette sempre gli altri prima di sé, che non chiede mai, che non è mai stanca e che ama incondizionatamente fino, nei casi più estremi, a scomparire. Una mamma che sperimenta forti sensi di colpa se desidera uno spazio per sé, che si sente realizzata solo attraverso la maternità, che se è stanca e sfinita è “normale”, che non si arrabbia, non si lamenta e soprattutto che rinuncia a tutto (carriera, tempo, amiche, desideri) per il bene dei figli.
Tale stereotipo è fortemente dannoso poiché trasforma la madre in un ruolo, nega complessità, limiti e desideri personali; alimenta il senso di colpa, logora ed esaurisce e, cosa forse peggiore di tutte, soffoca la relazione autentica con i figli.
Figli che non hanno bisogno di una madre martire e perfetta, ma viva e autodeterminata.

Il supporto psicologico alla mamma esausta

non è egoismo volersi bene, chiedere aiuto, ritagliarsi uno spazio solo per sé. È un atto di cura. Per sé stesse, e per i propri figli.

➡️ Se senti il bisogno di essere ascoltata e supportata, la psicoterapeuta Elisa D’Elia è disponibile per una consulenza personalizzata.
Per ritrovarti, senza rinunciare al tuo ruolo di madre. Ma senza annullarti.

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Perché il benessere dei tuoi figli passa anche dalle tue scelte consapevoli.

Come contattare la Psicoterapeuta Elisa D’Elia

Studio: via Olimpia, 13 Osimo
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