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Perché litigare ai bambini fa bene – Video Intervista a Raffaella Lorenzini Pedagogista

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Vai all’intervista

Il conflitto come apprendimento sociale

Molti studi hanno confermato l’importanza dei rapporti tra bambini, siano essi fratelli o amici, fin dal primo anno di vita.
Si parla di socializzazione primaria, proprio per sottolineare il fatto che i primi rapporti tra i bambini vanno a costituire la base su cui poggeranno tutti i rapporti successivi.
I bambini frequentando coetanei sono chiamati ad apprendere e modulare il loro comportamento in funzione delle dinamiche interindividuali.
Di conseguenza anche i comportamenti di aggressività e competizione hanno la funzione di aiutare il bambino a stabilire il proprio ruolo all’interno del gruppo, imparando a conoscere il senso della prossimità e della lontananza, della sottomissione e della dominanza, a comprendere quale è la giusta distanza.
Ci sono sicuramente delle differenze nella modalità di stabilire  rapporti con gli altri che sono determinate da alcuni fattori.
Primo tra questi è lo stile genitoriale. Influisce infatti sul modo di relazionarsi del bambino con gli altri il tipo di cure ricevute, l’esempio dato dalle figure di riferimento, la responsività che l’adulto ha verso il bambino.
Stili genitoriali basati sull’aggressività, sul rifiuto, la violenza o semplicemente l’alta frequenza delle punizioni, generano nei figli comportamenti di aggressività.
L’altro elemento importante è il fattore genetico, ovvero il temperamento del bambino.
Ci sono alcuni bambini che vengono al mondo “emotivamente predisposti”. Alcuni di essi nascono con un temperamento facile, altri sono difficili e oppositivi.
Il temperamento può però subire modificazioni con lo sviluppo e con un buon lavoro dei genitori sulle emozioni dei figli.
Secondo Freud è normale che i bambini esprimano senza controllo la rabbia e l’aggressività in quanto essi sono alla ricerca del soddisfacimento immediato di un piacere. Bisogna però tuttavia fare in modo che queste spinte vengano canalizzate sulla giusta via, affinché non si sviluppino comportamenti antisociali.
È frequente all’interno del nido o dell’asilo assistere a lotte tra bambini. Morsi e graffi sono molto frequenti. L’aggressività è infatti tipica dei 3-4 anni, tuttavia con lo sviluppo si assiste a una sua diminuzione. Se questo non avviene dobbiamo considerarlo come un campanello di allarme, che ci vuole mettere in allerta sul fatto che qualcosa non va.

Che cosa può fare l’adulto?

La responsabilità dell’adulto è grande: deve aiutare il bambino all’ascolto dell’altro, ad esprimere le proprie emozioni, senza prendere parte alle decisioni, senza essere giudicante: diventa un mediatore di un processo che rimane in mano ai bambini.
Gli adulti, solo qualora sia necessario, possono quindi offrire il loro contributo dando idee di risoluzione, ma senza mai intervenire sulla decisione finale che deve essere presa tra i bambini.
È necessario che si permetta ai bambini d’imparare a risolvere tra loro i conflitti per sviluppare la propria autonomia.
Prendere le parti di uno o dell’altro non farebbe altro che accentuare l’ostilità senza che questo risulti invece utile. Non c’è buono o cattivo. L’adulto deve astenersi dal giudizio. L’adulto è lo specchio del bambino e questo specchio non deve mai essere troppo severo, per evitare nel bambino la costruzione di un’immagine negativa di sé.
Resta inteso che sia necessario intervenire nelle situazioni di pericolo, almeno per ristabilire la sicurezza.
Prevenire nel bambino ogni comportamento inadeguato è spesso la preoccupazione di ogni adulto. Preservare l’armonia fa stare tranquilli: si sta bene quando nessuno litiga.
Il conflitto invece è relazione.
Senza conflitto non c’è relazione ed è in esso che si impara a stare con gli altri. Si impara a gestire le situazioni.
Questo permette loro di raggiungere una competenza.
I litigi sono una forma di apprendimento sociale.
Lasciamo che i bambini esprimano in modo sano la propria rabbia.
Se evitiamo che i bambini sperimentino la fatica dell’imparare a relazionarsi con gli altri finiranno per sviluppare una cultura della vita sociale in cui ci si aspetta che tutto sia garantito da qualcuno al di sopra di lui, che tutto possa essere delegato ad altri.
Nel conflitto il bambino sperimenta il senso del limite, la possibilità di errore, acquisisce la capacità di accettare se stesso, mentre si confronta con l’altro. Accetta la presenza dell’altro, esce dal proprio egocentrismo e inizia a capire che non esiste soltanto lui.
È nel conflitto che il bambino andrà a costruire modelli di adattamento e di orientamento che influiranno nella sua vita di adulto ogni volta che si troverà a relazionarsi con l’altro.
spazio famigliaSpazio Famiglia
Via dell’Agricultura 6/A 60127 Ancona
Su appuntamento
Dott.ssa Valentina Marracino
Dott.ssa Raffaella Lorenzini
spaziofamiglia.an@gmail.com
Tel 391.3665280
Fb Spazio Famiglia

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Il conflitto come apprendimento sociale

Molti studi hanno confermato l’importanza dei rapporti tra bambini, siano essi fratelli o amici, fin dal primo anno di vita.
Si parla di socializzazione primaria, proprio per sottolineare il fatto che i primi rapporti tra i bambini vanno a costituire la base su cui poggeranno tutti i rapporti successivi.
I bambini frequentando coetanei sono chiamati ad apprendere e modulare il loro comportamento in funzione delle dinamiche interindividuali.
Di conseguenza anche i comportamenti di aggressività e competizione hanno la funzione di aiutare il bambino a stabilire il proprio ruolo all’interno del gruppo, imparando a conoscere il senso della prossimità e della lontananza, della sottomissione e della dominanza, a comprendere quale è la giusta distanza.
Ci sono sicuramente delle differenze nella modalità di stabilire  rapporti con gli altri che sono determinate da alcuni fattori.
Primo tra questi è lo stile genitoriale. Influisce infatti sul modo di relazionarsi del bambino con gli altri il tipo di cure ricevute, l’esempio dato dalle figure di riferimento, la responsività che l’adulto ha verso il bambino.
Stili genitoriali basati sull’aggressività, sul rifiuto, la violenza o semplicemente l’alta frequenza delle punizioni, generano nei figli comportamenti di aggressività.
L’altro elemento importante è il fattore genetico, ovvero il temperamento del bambino.
Ci sono alcuni bambini che vengono al mondo “emotivamente predisposti”. Alcuni di essi nascono con un temperamento facile, altri sono difficili e oppositivi.
Il temperamento può però subire modificazioni con lo sviluppo e con un buon lavoro dei genitori sulle emozioni dei figli.
Secondo Freud è normale che i bambini esprimano senza controllo la rabbia e l’aggressività in quanto essi sono alla ricerca del soddisfacimento immediato di un piacere. Bisogna però tuttavia fare in modo che queste spinte vengano canalizzate sulla giusta via, affinché non si sviluppino comportamenti antisociali.
È frequente all’interno del nido o dell’asilo assistere a lotte tra bambini. Morsi e graffi sono molto frequenti. L’aggressività è infatti tipica dei 3-4 anni, tuttavia con lo sviluppo si assiste a una sua diminuzione. Se questo non avviene dobbiamo considerarlo come un campanello di allarme, che ci vuole mettere in allerta sul fatto che qualcosa non va.

Che cosa può fare l’adulto?

La responsabilità dell’adulto è grande: deve aiutare il bambino all’ascolto dell’altro, ad esprimere le proprie emozioni, senza prendere parte alle decisioni, senza essere giudicante: diventa un mediatore di un processo che rimane in mano ai bambini.
Gli adulti, solo qualora sia necessario, possono quindi offrire il loro contributo dando idee di risoluzione, ma senza mai intervenire sulla decisione finale che deve essere presa tra i bambini.
È necessario che si permetta ai bambini d’imparare a risolvere tra loro i conflitti per sviluppare la propria autonomia.
Prendere le parti di uno o dell’altro non farebbe altro che accentuare l’ostilità senza che questo risulti invece utile. Non c’è buono o cattivo. L’adulto deve astenersi dal giudizio. L’adulto è lo specchio del bambino e questo specchio non deve mai essere troppo severo, per evitare nel bambino la costruzione di un’immagine negativa di sé.
Resta inteso che sia necessario intervenire nelle situazioni di pericolo, almeno per ristabilire la sicurezza.
Prevenire nel bambino ogni comportamento inadeguato è spesso la preoccupazione di ogni adulto. Preservare l’armonia fa stare tranquilli: si sta bene quando nessuno litiga.
Il conflitto invece è relazione.
Senza conflitto non c’è relazione ed è in esso che si impara a stare con gli altri. Si impara a gestire le situazioni.
Questo permette loro di raggiungere una competenza.
I litigi sono una forma di apprendimento sociale.
Lasciamo che i bambini esprimano in modo sano la propria rabbia.
Se evitiamo che i bambini sperimentino la fatica dell’imparare a relazionarsi con gli altri finiranno per sviluppare una cultura della vita sociale in cui ci si aspetta che tutto sia garantito da qualcuno al di sopra di lui, che tutto possa essere delegato ad altri.
Nel conflitto il bambino sperimenta il senso del limite, la possibilità di errore, acquisisce la capacità di accettare se stesso, mentre si confronta con l’altro. Accetta la presenza dell’altro, esce dal proprio egocentrismo e inizia a capire che non esiste soltanto lui.
È nel conflitto che il bambino andrà a costruire modelli di adattamento e di orientamento che influiranno nella sua vita di adulto ogni volta che si troverà a relazionarsi con l’altro.
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Via dell’Agricultura 6/A 60127 Ancona
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Dott.ssa Valentina Marracino
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spaziofamiglia.an@gmail.com
Tel 391.3665280
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Molti studi hanno confermato l’importanza dei rapporti tra bambini, siano essi fratelli o amici, fin dal primo anno di vita.
Si parla di socializzazione primaria, proprio per sottolineare il fatto che i primi rapporti tra i bambini vanno a costituire la base su cui poggeranno tutti i rapporti successivi.
I bambini frequentando coetanei sono chiamati ad apprendere e modulare il loro comportamento in funzione delle dinamiche interindividuali.
Di conseguenza anche i comportamenti di aggressività e competizione hanno la funzione di aiutare il bambino a stabilire il proprio ruolo all’interno del gruppo, imparando a conoscere il senso della prossimità e della lontananza, della sottomissione e della dominanza, a comprendere quale è la giusta distanza.
Ci sono sicuramente delle differenze nella modalità di stabilire  rapporti con gli altri che sono determinate da alcuni fattori.
Primo tra questi è lo stile genitoriale. Influisce infatti sul modo di relazionarsi del bambino con gli altri il tipo di cure ricevute, l’esempio dato dalle figure di riferimento, la responsività che l’adulto ha verso il bambino.
Stili genitoriali basati sull’aggressività, sul rifiuto, la violenza o semplicemente l’alta frequenza delle punizioni, generano nei figli comportamenti di aggressività.
L’altro elemento importante è il fattore genetico, ovvero il temperamento del bambino.
Ci sono alcuni bambini che vengono al mondo “emotivamente predisposti”. Alcuni di essi nascono con un temperamento facile, altri sono difficili e oppositivi.
Il temperamento può però subire modificazioni con lo sviluppo e con un buon lavoro dei genitori sulle emozioni dei figli.
Secondo Freud è normale che i bambini esprimano senza controllo la rabbia e l’aggressività in quanto essi sono alla ricerca del soddisfacimento immediato di un piacere. Bisogna però tuttavia fare in modo che queste spinte vengano canalizzate sulla giusta via, affinché non si sviluppino comportamenti antisociali.
È frequente all’interno del nido o dell’asilo assistere a lotte tra bambini. Morsi e graffi sono molto frequenti. L’aggressività è infatti tipica dei 3-4 anni, tuttavia con lo sviluppo si assiste a una sua diminuzione. Se questo non avviene dobbiamo considerarlo come un campanello di allarme, che ci vuole mettere in allerta sul fatto che qualcosa non va.

Che cosa può fare l’adulto?

La responsabilità dell’adulto è grande: deve aiutare il bambino all’ascolto dell’altro, ad esprimere le proprie emozioni, senza prendere parte alle decisioni, senza essere giudicante: diventa un mediatore di un processo che rimane in mano ai bambini.
Gli adulti, solo qualora sia necessario, possono quindi offrire il loro contributo dando idee di risoluzione, ma senza mai intervenire sulla decisione finale che deve essere presa tra i bambini.
È necessario che si permetta ai bambini d’imparare a risolvere tra loro i conflitti per sviluppare la propria autonomia.
Prendere le parti di uno o dell’altro non farebbe altro che accentuare l’ostilità senza che questo risulti invece utile. Non c’è buono o cattivo. L’adulto deve astenersi dal giudizio. L’adulto è lo specchio del bambino e questo specchio non deve mai essere troppo severo, per evitare nel bambino la costruzione di un’immagine negativa di sé.
Resta inteso che sia necessario intervenire nelle situazioni di pericolo, almeno per ristabilire la sicurezza.
Prevenire nel bambino ogni comportamento inadeguato è spesso la preoccupazione di ogni adulto. Preservare l’armonia fa stare tranquilli: si sta bene quando nessuno litiga.
Il conflitto invece è relazione.
Senza conflitto non c’è relazione ed è in esso che si impara a stare con gli altri. Si impara a gestire le situazioni.
Questo permette loro di raggiungere una competenza.
I litigi sono una forma di apprendimento sociale.
Lasciamo che i bambini esprimano in modo sano la propria rabbia.
Se evitiamo che i bambini sperimentino la fatica dell’imparare a relazionarsi con gli altri finiranno per sviluppare una cultura della vita sociale in cui ci si aspetta che tutto sia garantito da qualcuno al di sopra di lui, che tutto possa essere delegato ad altri.
Nel conflitto il bambino sperimenta il senso del limite, la possibilità di errore, acquisisce la capacità di accettare se stesso, mentre si confronta con l’altro. Accetta la presenza dell’altro, esce dal proprio egocentrismo e inizia a capire che non esiste soltanto lui.
È nel conflitto che il bambino andrà a costruire modelli di adattamento e di orientamento che influiranno nella sua vita di adulto ogni volta che si troverà a relazionarsi con l’altro.
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